MARCELLO LO GIUDICE

MARCELLO LO GIUDICE

Nato a Taormina nel 1957, vive tra Milano, Parigi e Noto.

Conseguita la Laurea in Geologia presso l’Università di Bologna, passa all’Accademia di Belle Arti di Venezia, dove insegnano tre grandi protagonisti della pittura italiana quali Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso e Virgilio Guidi.

Dopo una breve esperienza nel campo del Concettuale negli anni ’70 -durante la quale utilizza tracce di cera, fragole, fumo e bruciature su carta- inizia un’attenta ricerca che lo porterà a sviluppare una pittura in cui l’energia della luce ed il metamorfismo della materia si fondono per creare remoti paesaggi geologici, come la descrisse il critico francese Pierre Restany.
Sulle tecniche dell’artista, Olivier Meessen, in occasione di una personale presso la Galleria del Naviglio di Milano nel 1988, scrive: Alla creazione di questa pittura sedimentaria, concorrono i ripetuti interventi sulla tela, dove colori, oli e pigmenti vengono stesi in spessi strati, sovrapposti, sepolti e richiamati alla superficie in fasi molteplici (raschiature di spatole, abrasioni, asportazioni, livellamenti). La materia forma i corpi pesanti ed opachi che vengono ad animare i pigmenti colorati, iridescenti. Le linee che si intersecano formano intrecci e vie, interferenze, ponti, percorsi, canali, vicoli ciechi, miraggi.

Contraddistintosi velocemente come artista di portata e spirito internazionale, già nel 1987 espone alla Samuel Lallouz Gallery di Montreal; neanche tre anni dopo espone in Svezia. Nel 2003 arriva addirittura a Muscat, nel sultanato dell’Oman.
Un rapporto più profondo e duraturo si instaurerà poi con la Francia, dove l’artista espone in numerose occasioni, soprattutto negli ultimi anni.

Della sua pittura si è occupato anche Achille Bonito Oliva, che ha curato una sua personale presso la Fondazione Mudima di Milano e che lo ha selezionato per partecipare alla collettiva I percorsi del sublime svoltasi nel 1998 a Palermo.

In Reverie Geologique, testo di Restany, Lo Giudice viene definito come un pittore tellurico per il suo legame con la natura organico e viscerale” e per la sua affezione “alla materia nella profondità della sua sostanza geologica, e ancora la sua unica ambizione, globale e senza limiti, è l’affermazione sempre ripetuta del connubio dell’essere con l’energia cosmica. Siamo nel cuore della creazione sull’eterno filo del rasoio della sensibilità, laddove l’emozione viene a nutrire lo spirito della materia […] è come uscire dall’inquinamento della città per ritrovare la purezza della natura delle origini. Un viaggio senza passato né futuro nell’eterno presente della geologia trionfante dei nostri sentimenti.

Viaggio che ha come tappe principali il rispetto della natura e la convivenza con essa, problematiche affrontate nella sua pittura, il rispetto dell’uomo e quindi -in linea con i primi artisti dell’area informale europea- il rifiuto per la guerra e la sua barbarie, come nel caso dell’attività scultorea, anche se, come afferma l’artista «si tratta di una continuazione: non ho abbandonato la pittura, ho voluto ampliarla sperimentando nuovi materiali come la ceramica».

Dal 1989, infatti, Lo Giudice porta avanti una ricerca molto personale tramite la creazione dei suoi Totem: materassi squarciati, svuotati, ustionati e successivamente dipinti con strati di colore (pigmenti e smalti) abbondanti e monocromatici; Queste opere simboleggiano l’orrore della guerra, a parziale ricordo di un’immagine televisiva riguardante l’erroneo bombardamento di un’abitazione civile durante la prima Guerra del Golfo: macerie, corpi dilaniati ed oggetti d’uso quotidiano quali, per l’appunto, materassi bruciati.

Nati dalla testimonianza di questi avvenimenti, i Totem si pongono come emblema di tali violenze e al contempo recuperano la loro primigenia funzione “religiosa” di mezzo di esorcismo e protezione.

Questa tipologia di opera dal 2000 si arricchisce ed evolve, incorporando una serie di farfalle realizzate in ceramica di Albisola: la bellezza che si posa sulla violenza e sulla guerra.” Infatti, se durante il percorso creativo che porta ai Totem Lo Giudice si avventa sui materassi, sventrandoli, bruciandoli ed infine riempendoli di materia, per quanto concerne le opere denominate Dalla Primavera del Botticelli questi oggetti del nostro quotidiano subiscono undifferente trattamento: le Primavere partono dalla sola rete del materasso, come se si trattasse di una raggiunta consapevolezza di ciò che è stato, una base su cui ripartire, ripulita dalla negatività, finendo per ospitare miriadi di farfalle colorate: un simbolo universalmente riconosciuto come emblematico della primavera, della rinascita, dell’evoluzione.

Così si rinnova l’esperienza di un’arte che non esplica solamente una funzione estetica e trascendentale, ma che rimane permeata dello spirito terrestre e concreto da cui prende vita, per meglio assolvere al suo compito di medium culturale tra artista e pubblico, tra la storia e la sua interpretazione, tra il sogno e la speranza.